Obama al Pentagono

Se non si cambia strategia si perde

Barak Obama ha fatto visita al Pentagono, un’occasione piuttosto rara che è stata interpretata come l’esigenza da parte dell’amministrazione statunitense di cambiare passo in Iraq ed in Siria, visto i risultati discutibili se non controproducenti ottenuti fino a questo momento nella lotta all’Is. Il 17 settembre scorso il presidente americano prometteva di non voler inviare militari sul campo per combattere i terroristi. Da quel momento si sono bombardati con i droni e la caccia le basi militari e i mezzi del Califfato. E lo Stato Islamico si è espanso a macchia d’olio tanto da puntare ora anche sulla Tripoli libanese nella sua ricerca di un accesso al mare dell’ovest. Per ogni jiahdista che muore ne arrivano dieci. I centri di reclutamenti nel mondo arabo sono presi d’assalto da volontari che desiderano lottare per la causa islamica. Poi ci sono anche i foreign fighters in occidente e del Caucaso. Dall’altra parte combattono solo curdi e sciiti, oltre i governativi siriani, che pure Obama non vorrebbe avere fra i piedi. La guerra ha detto il presidente americano che durerà 14 anni, non si rende conto che in queste condizioni la perderà molto prima. Anche perché la coalizione internazionale che coinvolge più di venti paesi nella guerra contro il terrorismo in Siria e in Iraq. comprende anche Qatar, la Turchia e l’Arabia Saudita che nel caso migliore fanno il doppio gioco. In quello peggiore sono dalla parte dell’Is. Tanto che il giugno scorso a furia di subire sconfitte sul campo, Obama si è convinto di mandare altri 450 uomini a Ramadi per addestrare i soldati iracheni. Per la verità bisognerebbe che combattessero al loro posto. I militari iracheni buttano via le loro divise e lasciano armi e mezzi ai terroristi in arrivo che così si approvvigionano anche di equipaggiamento statunitense nuovo di zecca e a nessun costo. Obama se ne rende conto? Dalla riunione al Pentagono non si hanno avute indiscrezioni, eppure il presidente americano fatica ad acquisire una maggior consapevolezza della situazione. Infatti ancora non ritiene necessario predisporre un piano per inviare più forze oltreoceano. Al centro della strategia statunitense resta l’idea di aiutare le forze locali, più la vaga promessa di un sostegno politico economico, e magari ideologico. È dura ammettere di aver sbagliato tutte le mosse. Ma fino a quando non ci si convincerà dell’intervento, state tranquilli che l’Isis continuerà ad avanzare.

Roma, 7 luglio 2015